Ho comprato ogni sorta di macchinari di cui
sono venuto a conoscenza – tritatrici, sgusciatrici,
seminatrici, falciatrici, macine, erpici, aratri meccanici
e trebbiatrici – li ho tenuti all’aperto, all’aria e al sole,
dove si sono arrugginite, stortate e sconciate che peggio
non si poteva. Perché non avevo un capannone dove metterle,
e poi, per la maggior parte, non mi servivano neanche.
Solo verso la fine, standomene alla finestra a riflettere,
sono riuscito a fare un po’ di chiarezza dentro di me,
mentre sentivo affievolirsi i battiti del polso.
Stavo guardando una macina che avevo comperato –
senza averne il benché minimo bisogno,
come poi risultò dai fatti, e che non avevo mai messa in moto –
un ottimo strumento, dipinta con colori vivaci, all’inizio,
smaniosa di cominciare il lavoro,
e adesso lasciata in disparte, tutta scolorita –
anch’io mi sono visto come un ottimo strumento
che la Vita non ha mai voluto adoperare.
E. L. Masters